Sunday, October 2, 2011

Atlanta

Ed eccomi di nuovo in volo.
Curiosa e proiettata sulla nuova avventura nel Mid West. Allo stesso tempo rammaricata per essere partita senza un’immagine nitida da associare ad “Atlanta”. Il coprifuoco serale e gli orari di lavoro non mi hanno lasciato molto tempo per vedere la citta’. Con Matt abbiamo fatto un breve tour, abbiamo visitato il campus di Emory University (senza infamia e senza lode) e poche altre zone: piacevoli o desolanti che fossero, nulla mi ha colpito particolarmente. Pero’ a questa citta’ voglio dare una seconda chance, non importa quando ma vorrei tornare per esplorarla con calma e alla luce del giorno. Capirla ed apprezzarla. Non mi e’ mai piaciuto lasciare una citta’ senza un bel ricordo. Quindi Atlanta torna sulla lista di citta' da visitare.
School of Medicine at Emory University

Lo stile della maggior parte degli edifici del campus della Emory Univeristy

Di Atlanta pero’ porto con me il lusso di non sperare che ci sia il sole, semplicemente svegliarsi al mattino e trovare il cielo blu: non mi ero mai accorta di quanto mi fossi assuefatta al grigiore di Seattle.

Di Atlanta porto con me quanto mi sono sentita scombussolata nel vedere le foglie colorate di quest’autunno appena iniziato e rendermi conto che sono passate inosservate sia l'estate che la primavera di quest’anno cosi’ bizzarro nel suo orario. [E a rincarare la dose ci sono stati i 13 gradi che mi hanno accolto – e colto impreparata- nel Mid West].

Di Atlanta porto con me la festa di compleanno per Matt, le candeline tarocche a forma di lettera (dicevano happy birthday) che si sono sciolte ancor prima che le soffiasse, l’intensita’ delle emozioni dei giorni insieme, l'immensita' della gioia di ritrovarci dopo tre settimane interminabili e sentire fortissimo il bisogno di essere vicini, di essere insieme. Allo stesso tempo apprezzare che mentre prima la distanza era la regola, ora e’ l’eccezione. E allora, via, si puo’ fare con serenita’ anche quest'altro mese lontani.

Di Atlanta porto con me i flash in metropolitana. La gentilezza delle persone che offrono un appiglio o semplicemente si sostengono a vicenda se il treno frena bruscamente e qualcuno rischia di perdere l’equilibrio.
Gli strattoni di certe madri  ai propri figli per il cappuccio della felpa.
Gli spots nei televisori che promuovono tutto quello che di triste vedo in questa societa'.
Infine, una delle cose che mi ha impressionata di piu’: il colore della pelle. 
Parentesi. Ai tempi dell’universita’, il mio coinquilino Americano commento’ i suoi primi giorni di lezione con lo stupore di trovarsi in un'aula esclusivamente tra bianchi, senza gradazioni nel colore della pelle, senza variazioni nella forma degli zigomi o negli accenti. Li’ per li’ non e’ che capissi molto cosa intendesse. A Boston avevo notato la familiarita’ che una dottoressa aveva con il colore della pelle e di quanto sapesse riconoscere dalla sfumatura della carnagione la nazionalita’ delle persone. Una volta a Seattle non posso negare di essermi sorpresa la prima volta che ho visto una coppia per mano, lei bianca e lui nero. Per quanto quell’immagine mi sia piaciuta e sia impressa nella mia mente, ha pur sempre catturato la mia attenzione e destato una sorta di stupore. Da quel momento in poi e’ iniziato un processo dentro di me per cui il colore della pelle e la forma degli occhi sono diventati connotati che passano indifferenti ai miei occhi, un po’ come il colore dei capelli. Ho imparato la lingua del colore della pelle e questa internazionalita’ mi piace, la cerco e la apprezzo come modo per arricchirmi e mi affascina leggere nei rapporti la cultura di paesi lontani, che forse non vedro’ mai. La metropolitana di Atlanta soprattutto nel weekend ha ribaltato le carte in tavola. A parte nelle ore di punta dei giorni lavorativi, mi sono sentita estremamente a disagio. Mi sono sentita perfino in colpa per essere bianca. Mi sono sentita scrutata, osservata, squadrata da capo a piedi. E pure ignorata da tre ragazzini che saliti sulla carrozza hanno cominciato a vendere degli snacks ai passeggeri. Sono passati di sedile in sedile… e arrivati a me, mi hanno totalmente ignorata. Loro erano di colore. Gli altri passeggeri pure. E quando la sera parlavo con una persona che vive ad Atlanta, mi ha detto che tra le persone di colore c’e’ una solidarieta’ particolare che non si aspettano di trovare nei loro confronti da parte dei bianchi. Lunedi’ mattina di nuovo invece bianchi e neri, asiatici e messicani, indiani e americani erano testoline variamente distribuite sui sedili delle carrozze in perfetta armonia, come se i geni dell’aspetto fisico non avessero piu’ alcuna importanza.

Di Atlanta porto con me la hostess che su ben tre diversi voli chiede un applauso per tutti i militari americani che combattono per questo paese (deduco lo facciano sui voli da/ad Atlanta per  la presenza di una base militare).

Di Atlanta porto con me l’affetto che ho provato per la prima volta per una gattina, la piccola Eloise. Ho sempre desiderato un cane (ma ahime non l'ho mai avuto). I gatti invece mi hanno lasciata sempre molto indifferente, forse pure infastidita. Di questo mese porto con me anche Eloise, le coccole che mi ha fatto acciambellandosi sulle mie gambe e quelle che cercava allungando il collo e il suo musetto...  e anche il suo volo dal balcone a lieto fine.

Di Atlanta portero' con me la violenza. Ma di questo non voglio scrivere.

Di Atlanta  portero’ sempre con me il ricordo dei pazienti che ho conosciuto. Delle conversazioni che abbiamo avuto. Sull’alimentazione. Sulla salute. Sull’assicurazione e il sistema sanitario. Sull’Italia. Sull'America. Sui loro problemi, fisici e interpersonali. Le loro storie. Le loro parole. I loro sguardi. La loro dolcezza, la loro fragilita’, la loro fiducia. Le lacrime vere e quelle di coccodrillo. I kg di troppo che non si limitano a rendere una persona un po’ paffutella ma la deformano. Le bugie e le verita’. Gli abbracci. Forti e stretti…che, a quanto pare, anche gli americani sanno dare.

Di Atlanta  portero’ con me questo curioso spelling del mio nome… che una persona con cui lavoravo mi ha dato l’ultimo giorno come “a souvenir, so you won’t forget us!”
E di Atlanta portero’ con me il desiderio di tornare… per trovare quei posti che me la faranno piacere!
E ora… nuovo mese, nuova citta’!
Si riparte in Iowa!

2 comments:

  1. Makayla, credo sia un nome in uso negli States, una mia amica che ha appena avuto una bambina l'ha chiamata così. Certo che però fa parte di quei nomi osceni, tipo 'shakisha'...moooolto meglio Michela!

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  2. Mai sentito prima... pensavo fosse andata a orecchio... e che fosse dotata di particolare creativita' ;)!

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