Monday, May 30, 2011

Mt.Si

Di oggi non cambierei una virgola!
Una coppia di amici, al momento fuori citta', ci ha offerto la macchina per questo long weekend. Le previsioni di oggi davano giornata calda e soleggiata!
Siamo passati a prendere un'amica che abita vicino all'università e abbiamo constatato che andare in università in macchina invece che in bici non ha prezzo! Ma lunedi' saremo di nuovo sul sellino!
La nostra meta era Mt. Si, la montagna piu' vicina a Seattle nella catena delle Cascades nonche', di norma, il sentiero che inaugura e chiude le camminate della bella stagione (per via della neve che si scioglie presto e scende tardi).
Sotto un cielo che di soleggiato non aveva niente ci siamo inoltrati tra gli alberi: sono bastati pochi metri per incontrare le prime persone e scambiare il primo "hi!". Mi ricordo che e' stato il mio Nonno nelle nostre passeggiate ad insegnarmi che in montagna si saluta sempre chi si incontra ed e' un'usanza che mi piace moltissimo!
Salendo di buona lena abbiamo raggiunto la cima in circa novanta minuti e questa e' una delle cose che mi impressiona di piu' di Mt. Si e altri sentieri qui. Quando in Italia decidevo di fare una gita in montagna, ovunque andassi, c'era una strada, da percorrere in macchina, che ti portava gia' in quota e partivi da li'. A Mt. Si invece no, la strada ti porta ai piedi della montagna. Mentre la raggiungi in macchina la vedi e non ci credi che raggiungerai la cima solo con le tue gambe. Invece, senza nemmeno essere troppo in forma... succede proprio cosi'. E ha dell'incredibile, almeno per me!
In ogni caso siamo arrivati a destinazione (la sottoscritta moribonda il che mi dice che l'era post-boards prevede allenamento ferreo) e questa e' stata la vista... sob, sob...
Sempre all'arrivo c'era questo chipmunk che correva tra i massi e voracemente trangugiava qualsiasi avanzo trovasse. Qui mentre fa una scorpacciata di cheddar cheese... e lo so che non va bene nutrire gli animali selvatici ma, dato che la nostra coscienza era pulita, a me e' sembrato proprio carino e l'ho immortalato!

Lo stacco  dalla routine di studio e lavoro non ha avuto prezzo e domani si ricomincia! E non ci posso credere che, se tutto va bene, tempo un mese e mezzo, saro' di nuovo una "donna libera" (o quasi, che mi manchera' comunque lo Step2CS)!


Siccome Mt. Si e' una camminata proprio bella, qui delle foto da gite passate e nel sole!
La cima

Un piccolo di falco o aquila o qualche altro uccello rapace (?)
Seattle in lontanaza

Mt. Rainier che come sempre sovrasta qualsiasi altra cima

E questo il sentiero nella neve

Ora trascino le mie gambe sotto le coperte e vi auguro un bell'inizio settimana o fine weekend lungo!

Saturday, May 28, 2011

Residency in the US

Gianfranco mi ha lasciato questo commento al post USMLE Step 1
Ciao Pookelina,
sono un tuo collega, mi son laureato nel 2009 ed attualmente sto in guardia medica in attesa di trovare un posto in specialità.

Avevo pensato di specializzarmi in Italia od in Europa ed intanto fare gli steps, sai, impara l'arte e mettila da parte... , che ne pensi?
Ma il Toefl serve er fare l'esame o solo se poi uno vuole fare la specializzazione lì?
Un'altra domanda: se riuscissi a fare tutti gli steps (sempre nei sette anni) anche non volendo fare la residency etc etc sarei sempre abilitato a lavorare negli USA?
Grazie mille in anticipo e buon lavoro!
Gianfranco


Nei commenti ho abbozzato una risposta riproponendomi di rielaborarla qui con maggiori dettagli. Eccola! E mi scuso perche' mi e' venuto un poema. Spero sia utile!

Premessa. Quest'autunno, quando faro' l'application per la residency e vivro' il processo in prima persona, mi si chiariranno molte idee, ora scrivo dell'infarinatura che ho avuto finora... e aggiornero' poi.

Nella risposta ho scritto il mio consiglio e' quello di imbarcarti nello studio dello USMLE solo se hai intenzione di venire a praticare in USA. Per due motivi: e' un percorso che richiede tempo, dedizione e anche un po' impegnativo economicamente. Inoltre, e soprattutto, entrare in una buona scuola di specialita' in America non e' proprio semplice. Cerco di scrivere presto un post a riguardo.

Allora la ragione del mio consiglio sta nella difficolta' di entrare nel sistema americano. Che che ne dicano, c'e' sempre un briciolo di diffidenza verso candidati provenienti da altri paesi. Non per razzismo o discriminazione ma per remore sul tipo di training che e' stato offerto al candidato straniero che chiameremo IMG ( da international medical graduate). Da quello che ho capito finora, la principale preoccupazione di un direttore di specialita' e' che un IMG sia in grado di "funzionare" nel sistema americano.
Parentesi: La scuola di medicina qui si fa dopo 4 anni di undergraduate dove lo studente studia un po' quello che vuole, c'e' chi sceglie settori umanistici chi invece si porta avanti con materie come biochimica, biologia, fisiologia etc... In ogni caso, il test di ammissione alla medical school, l'MCAT, e' molto serio e selettivo.  La medical school consiste in un 2+2 ossia 2 anni di preclinica e 2 anni di clinica. La parte clinica non e' un semplice tirocinio in cui lo studente si unisce al giro in ospedale e ascolta e interagisce solo verbalmente. Lo studente americano fa l'anamnesi, l'esame obiettivo, discute la diagnosi differenziale, possibili esami diagnostici da richiedere e opzioni terapeutiche. Fa i turni di notte, affiancato da specializzandi (intern (1anno), resident (2&3'anno) e fellow (eventualmente dopo la residency)) sotto la supervisione di un attending physician. In tanti altri paesi lo studente di medicina non riceve questa esposizione e coinvolgimento all'attivita' clinica e questo e' cio' che causa riserbo nei nostri confronti. Da qui la ragione per cui le scuole migliori richiedono al candidato straniero una clinical clerkship in un ospedale del sistema americano di una durata di almeno 2 mesi (f.e. University of Washington a  Seattle) fino ad un anno (f.e. Harvard), normalmente specificando che observerships ed externships non contano. Una clinical clerkship si distingue dagli altri due tipi di tirocinio per il coinvolgimento attivo del tirocinante (quello che fa lo studente di medicina al terzo e quarto anno in America). Ora, sono studenti pure loro e come noi non nascono imparati, quindi non e' che si destreggino con disinvoltura e sicurezza come un attending physician ma il punto e' che il diverso approcio al training clinico puo' giocare a nostro sfavore. (Come si organizza una clinical clerkship... io sto ancora provando, e la mia strategia e' bussare, bussare, bussare... postero' a riguardo se questo knocking avra' buon fine). Infine, poi chiudiamo la parentesi della clinical clerkship, le scuole di specialita' piu' quotate (non solo Harvard, UCSF, Johns Hopkins, etc!!!) richiedono le famose LoR (letter of reccomendation), spesso specificando che le LoR devono essere scritte da clinicians. Lo straniero e' venuto in USA  a fare ricerca (quello che fanno tanti) e il PI scrive una bella LoR?  Le sue belle parole saranno piu' utili nella valutazione del candidato come persona che come medico, ossia l'esperienza nella ricerca non attenua le remore sul nostro training clinico.

Perche' tanti neolaureati, che sono interessati esclusivamente alla clinica e non alla ricerca, vengono in USA e fanno ricerca e non tirocini in ospedale? La spiegazione secondo me piu' plausibile e' la seguente (io in questo caso non faccio testo perche' la mia storia e' un po' diversa  e non sapevo se avrei vissuto qui o meno). La maggior parte dei programmi sponsorizzano J-1 visa (non H-1 B visa e la differenza principale  e' che il J-1 visa e' un visto non-immigrante mentre dall'H1B visa si puo' iniziare un'application per la green card). Esiste una clausola che si applica solo al J-1 visa ma non all'H-1b visa che si chiama two year residency requirement. Ossia, lo straniero che viene in USA e svolge un qualsiasi tipo di attivita' clinica che coinvolga pazienti,  ha l'obbligo, al termine del training in america,  di ritornare nel proprio paese per due anni. Una scappatoia c'e': praticare in medically underserved regions degli USA.

Benche' io sia del parere che di fronte ad istruzione e salute il lato economico passa in secondo piano, mi sento un po' in dovere di menzionare che il percorso per diventare medico in USA e' un po' oneroso. Gli esami viaggiano sugli 840$ step1 e step2ck (con sovrattassa se sostenuti al di fuori degli USA) e 1300$ step2cs (piu' alloggio e volo visto che si puo' sostenere solo in cinque citta' americane che sono Atlanta, Chicago, Philadelphia, Houston e Los Angeles). Piu' i libri di testo, il costo dei quiz online (e' possibile usare nbme, usmleworld, kaplan e secondo me vanno fatti perche' il voto conta tanto al momento dell'application e io suggerirei di puntare ad uno score >95). Poi c'e' il costo della traduzione di tutti i documenti che devono essere presentati in lingua originale e traduzione ufficiale. Ed infine, il costo dell'application che include il costo dell'invio dell'application ad ogni programma (non postale ma la tassa che si paga alla eras perche' invii le nostre applications alle scuole desiderate) e le spese delle interviews (volo e alloggio). Di questo pero' voglio scrivere piu' avanti per fornire informazioni accurate. In ogni caso, qui avevo accennato al processo e al match.

Infine, e questo e' forse lo scoglio piu' grande e vi rimando al sito ufficiale del nrmp, un po' di numeri. Secondo me merita di essere letto questo pdf: http://www.nrmp.org/data/resultsbystate2011.pdf.

Detto questo, non per scoraggiare ma per informare e condividere con chi vive all'estero le informazioni a cui io, vivendo qui, ho avuto piu' facile accesso tramite le informational interviews, diventare medico in USA e' una strada, che se anche io ho appena imboccato, mi sento di dire vale la pena: l'America avra' tante pecche ma  ripone un valore immenso nell'education e nel training di chi ne rappresenta il futuro. Un posto eccezionale per chi aspira ad un training che faccia di noi  il medico migliore che possiamo essere. 

Quindi due consigli per chi intraprende questo viaggio:
- puntate ad uno score > 95 (anche se i cut-off di tante scuole sono inferiori, per un IMG e' sempre bene presentarsi con un voto piu' alto della media americana che ora credo sia 90)
- se volete fare della ricerca, cercate di ottenere una first-author publication e una presentazione, possibilmente orale, altrimenti poster, ad un congresso
- iscrivetevi al match il prima possibile dalla data della laurea
- cercate di organizzare una clinical clerkship
- senza istigare a matrimoni d'interesse, se riuscite ad ottenere la green card, non vi nuocera'

Per dovere di cronica, ho sentito diverse persone fare la seguente cosa.
Non avere l'application ideale. Mandare l'application a scuole di specialita' senza infamia e senza lode (che pero' in America vuol dire). L'anno successivo, ripetere la domanda di ammissione mandandola a scuole di specialita' competitive e utilizzando quel primo anno di specialia'come clinical clerkship.

Vi raccontero' prossimamente gli altri pezzettini della mia storia verso la residency... che per ora sono ancora un mistero anche per me ma li postero' mano a mano!

A tutti  in  bocca  al  lupo!!!

A noi e' piaciuto

Friday, May 27, 2011

Empatia

A lato di una porta in un ufficio del dipartimento di bioengineering, proprio accanto a dove studiavo io oggi:

Monday, May 23, 2011

Un momento

Matt dorme ancora. Io sono in soggiorno con il mio caffelatte: la finestra e' ancora aperta da ieri sera e la brezza fresca di un mattino sereno mi accarezza la pelle. E questo momento mi sembra un bellissimo inizio di giornata! Una bella settimana a tutti!

Sunday, May 22, 2011

Panorami e caffe'

Seattle attorno al campus della UW

E il caffe' "piu' italiano" che io abbia mai bevuto a Seattle: http://www.caffedarte.com/

Gli anni piu' belli

C'e chi dice che gli anni piu' belli siano quelli dell'universita', chi sostiene siano quelli in qualche altra fascia della vita, dal canto mio... come anni piu' belli non saprei quali scegliere, ma qualcosa mi dice che i miei siano proprio questi. Questi che sembrano i piu' poveri, i piu' monotoni, i piu' difficili, i piu' statici... ma che sono gli anni in cui sto crescendo esponenzialmente, in cui sto imparando un sacco, non della medicina ma della vita, in cui sto facendo tanti progressi. Se scorro la mia vita, la vedo spezzettata in tante fasi e ogni fase e' uno spaccato di volti, obiettivi, pensieri, amicizie, paure, viaggi, gioie, delusioni, piccole conquiste, canzoni etc. Sono affezionata a ciascuna di queste fasi e mi piacciono tutte nell'insieme, anche quelle che al tempo mi sembravano insopportabili, forse perche' ora le capisco, mi vedo dall'esterno, mi scappa da sorridere di fronte alla mia ingenuita' e impreparazione alla vita.

Tra poco piu' di un mese compiro' gli anni. Lo scorso compleanno e quello in arrivo mi danno tanto da pensare. Perche' il compleanno l'ho sempre vissuto come un bilancio e un traguardo, un giorno in cui festeggiare il genetliaco con gli amici, le mie conquiste con me stessa. Ecco, se penso a cosa ho fatto quest'ultimo anno e mezzo... la sola risposta e' struggle for my dreams che e' un'espressione che adoro perche' proprio calza a pennello le mie giornate. Quando lavoravo in laboratorio, avevo una vita che razionalmente mi sembrava "perfetta". Matt ed io eravamo sotto lo stesso cielo, anche Matt lavorava e avevamo ogni weekend per noi, per prendere la macchina ed immergerci in un nuovo ricordo, in nuovi paesaggi, in nuove emozioni. Avevamo un'altra disponibilita' economica che ci permetteva di coccolarci molto di piu'. Io ero molto piu' spensierata, piu' attiva, raccoglievo le prime soddisfazioni professionali, al lavoro mi trovavo bene, non facevo proprio il lavoro dei miei sogni pero' credevo in quello che facevo, sia da un punto di vista scientifico che da un punto di vista personale. Se guardavo i miei giorni razionalmente, avevo una vita di cui non potevo che essere soddisfatta. Eppure, se guardavo dentro di me, non mi sentivo per niente felice. Ed era una sensazione orribile e tanto destabilizzante perche' mi portava a rimettere in discussione la scelta di venire in America e quello che volevo dalla vita.  E' in quei mesi che e' iniziata la mia struggle for my dreams. Prima il ministro dell'istruzione, il preside del liceo, il preside della facolta' di medicina mi avevano dato una lista molto chiara di cose da fare per raggiungere i miei sogni. A me bastava sedermi ad una scrivania ed essere diligente. In quei primi mesi oltreoceano ero io nelle mani di me stessa, non c'era semplicemente un bivio ma un numero di strade infinito che equivaleva a non averne neanche una, c'erano i sogni al punto d'arrivo e nulla di prescritto per raggiungerli. Li', con tutta quella liberta' di scelta nelle mie mani ho capito, o meglio, lo sapevo da sempre, pero' ho finalmente accettato che essere felici e' una scelta. Che non ci si merita proprio nulla. Che lamentarsi e' molto piu' facile di riconoscere quello che abbiamo. Che lamentarsi e' molto piu' facile che essere felici. Che, presente la salute, non c'e' motivo alcuno per non essere felici. Che essere felici e' nelle nostre mani cosi' come nelle nostre mani e' cambiare cio' che non va. E questo e' cio' che rende lo scegliere di essere felici diverso dall'accontentarsi. C'e' la possibilita' di cambiare quello che non ci piace, di fare del nostro meglio per rendere la realta' piu' simile ai nostri desideri, di andare a dormire sereni, soddisfatti, contenti ogni sera. Ho sempre trovato superficiale e ipocrita l'abitudine americana di rispondere a tutto wonderful. Poi un giorno ho deciso che non mi importava piu' se quel wonderful fosse vero o meno. Ho deciso che era giusto. Che tutto quello che avevo (che non era nulla di stratosferico ma semplicemente nella media) ecco, tutto cio' era wonderful. E ho traslato la scala della felicita'. Sono diventa molto piu' appreciative e porto sempre con me il beneficio del dubbio. E questa trasformazione credo sia la cosa piu' grande che ho fatto in America.

L'altra grande cosa e' questa benedetta certificazione che ha imbrigliato la mia vita ma che sento essere cosi' giusta. Mi sento sfidata, mi sento viva, mi sento vera, sento che sto dando l'anima per qualcosa in cui credo con tutta me stessa, sento il desiderio di diventare medico ardere e consumare l'inconsumabile dentro di me. Sento il bisogno di entrare in specialita' il prima possibile perche' quel training faccia di me il medico piu' competente e compassionevole che posso essere. Voglio finalmente svegliarmi e fare ogni giorno cio' che sogno da sempre.

E allora questo sabato sera ad esternare i miei pensieri sul blog mi sembra perfetto cosi' come e'. Le cene fuori, i pensierini, le vacanze, i weekend per noi, tante piccole attivita' di svago torneranno... e quando torneranno, allora, e solo allora, renderanno questa vita "perfetta" perche' in quel momento avro' finalmente raggiunto il mio obiettivo piu' grande. Ma nel frattempo, credo davvero che siano proprio questi gli anni piu' belli. Per la vita, l'opportunita' e la liberta' che portano dentro di se'.

Saturday, May 21, 2011

Tira vento?

In un'aiuola ad un incrocio in centro c'e' questo:

E quando ho scattato la foto qualche giorno fa, di vento ne soffiava: tra un click e l'altro quest'ombrello capovolto roteava cosi'
La sfumatura rosa e' un artefatto della mia macchina fotografica  che, scassatissima, da evidenti segni di cedimento... ma intanto genera tramonti come questo
 partendo da un cielo cosi'...
 ... e' decisamente una romanticona!

Buon weekend!

Thursday, May 19, 2011

Seventy degree holiday

A Seattle oggi festeggiamo la seventy degree holiday: ogni volta che ricorre, gli uffici si spopolano e volti sorridenti e compiaciuti si riversano nei parchi e lungo le strade, e anche la piu' piccola area verde si copre di persone in flip flops e pantaloncini. Dopo un pranzo nel sole, Matt ed io siamo andati lungo l'acqua al Myrtle Edward Park e mi si e' sciolto il cuore di fronte a questa città', architettonicamente cosi' anonima, ma che sotto il cielo blu diventa un angolo di mondo immacolato e di una bellezza struggente. Ora, di nuovo, sono qui, all'ufficio di Matt in downtown che e' tutto una vetrata e vorrei proprio avere un cellulare con fotocamera. Fuori sembra uno scorcio sul paradiso: Mt.Rainier imponente a sud della citta', lo skyline a est, a ovest la baia decorata con vele e spinnakers multicolore, battelli, traghetti, il verde boscoso che riveste quest'angolo di terra, il cielo senza una nuvola, limpido e sereno, i moli, il parco, le vette innevate e dal contorno nitido, il sole quasi pronto per scivolare via.
Ultimamente ci penso tanto... Ovunque saro' l'anno prossimo, questa città, questa casa...mi manchera' proprio tanto...

Wednesday, May 18, 2011

Canterina

E' da ieri che splende il sole in un cielo blu che piu' blu non si puo'..

















Ed io attacco a canticchiare in continuazione, ho il sorriso della felicita' stampato sul viso e abbraccerei il mondo intero!!!

Have a wonderful day!!!!!

Sunday, May 15, 2011

La solita solfa

Un giorno di novembre e' piu' luminoso...
 


In questo weekend piovoso mi sono data allo shopping. Quest'estate si sposera' il fratello di Matt ed io sto cercando un vestitino un po' vezzoso ma possibilmente non fioccoso, paiette-oso, luccicoso, lustinoso, di lunghezza consona alla mia veneranda eta' di 30 e non 18 anni e di colore non accecante. E nemmeno alternativo e tendente al trasandato come si usa quassu'. E sono gia' frustratissima...

Saturday, May 14, 2011

Biking

Seattle mi era sempre sembrata una bike-friendly city. Ultimamente pero' mi sono spostata molto piu' spesso in bicicletta e soprattutto ho percorso altre zone della citta' (attorno all'universita', per chi vive qui). E mi sono dovuta ricredere.
Invece di brontolare sul blog dell'aggressività e insofferenza di troppi automobilisti per i ciclisti, qualche giorno fa Matt ed io ci siamo iscritti al Cascade Bicycle Club, che, stando a wikipedia, e' "the largest bicycling club in the US with more than 13,000 members". Ecco, io spero davvero che serva a qualcosa e che possano veramente migliorare la sicurezza dei ciclisti sulle strade. Perche' certi automobilisti mi fanno davvero paura. 
Una delle cose che piu' mi lasciano sbigottita e' la loro arroganza. Quando come ieri (e non era la prima volta), in una strada a quattro corsie, due per senso di marcia, noi pedaliamo in quella esterna mentre le macchine, man mano che ci raggiungono, ci sorpassano civilmente su quella interna. Ma una macchina inchioda dietro di noi, sgasa per farci sapere quanto siamo d'impiccio, e mentre ci sorpassa, dal finestrino qualcuno urla "Sidewalk!".  ???? Ecco queste persone mi piacerebbe rivederle a piedi e vorrei che mi spiegassero che le biciclette sono tenute a pedalare sul marciapiede, con la stessa convinzione e superiorita' ma senza possibilita' di sbraitarlo fuori dal finestrino e poi sgommare davanti a noi. E naturalmente mi immagino pure che le persone che mi superano a filo per arrivare due secondi prima ad un semaforo rosso o per girare a destra tagliandomi la strada in una manovra dell'ultimo minuto siano le stesse che ai bbq della domenica si proclamano convinti fautori di una bike-friendly city e se lo fanno scrivere sulla targa della macchina. 

Di mio non sarei cosi' rissosa. E non mi lamenterei sul blog se fosse solo una mancanza di rispetto: di maleducati ce ne sono tanti e di educati altrettanti. Sta a te scegliere con chi stare. Ma qui davvero vedo in pericolo la sicurezza, la salute e, senza toni drammatici, la vita di troppe persone.  

Detto questo diciamo anche che ci sono tanti automobilisti gentili e corretti, dei ciclisti spericolati, che a Seattle ci sono delle bellissime piste ciclabili come il Burke-Gilman Trail e la Myrtle Edwards Route, tanti parchi e colline dove pedalare, che la citta' si posiziona quarta nella classifica delle citta' piu' bike-friendly in USA e che il WA state e' uno dei pochi stati in USA che consente il riding two abreast. E che questa maglia, che hanno mandato a Matt in qualita' di capitano della nostra squadra, mi piace un sacco! 
 

Ecco, speriamo davvero che non venga sprecata la possibilita' di spostarsi in bicicletta in una citta' tanto bella, verde e immersa nella natura come Seattle!


Orchidee

Il 10 novembre e' uscito il risultato del mio step 1. Con quel passed il 10 novembre abbiamo fatto un bel passo avanti verso la vita che vorremmo! La sera Matt e' tornato a casa con questo pensiero floreale.
 

Per quattro mesi mi sono goduta la mia prima orchidea, nella sua bellezza e nella felicita' che racchiudeva. Dopo il periodo di gloria e' sfiorita e in un'inconcludente ricerca online su come mantenere le orchidee, in un forum, ho letto un commento tipo non poto, non aggiungo fertilizzante, non travaso. Lascio le orchidee nelle mani della natura e mi rifioriscono ogni tot. Cosi' mi sono affidata alla filosofia di quest'ottimista. Ho continuato a dare acqua e scrutare ogni nodo di uno stelo nudo e spoglio. E qualche giorno fa .... ho notato questa gemma:
e non mi sembra vero!!! Ora spero di non fare danni, che fiorisca e che sia la prima di tante!!


Invece, nel caso in cui qualche inesperto pollice verde in cerca di informazioni su come si mantengono le orchidee sventuratamente arrivi su questo blog altrettanto inesperto in materia, due righe brevissime sulla mia altra orchidea. 

 Una volta sfiorita dallo stelo hanno cominciato a trasudare minuscole goccioline rosse. Gia' temevo qualche malattia della poverina ma nel giro di qualche giorno le goccioline si sono asciugate, lo stelo e' diventato secco e color rosso bruciato. Prima la cima e ora giu' giu' verso le radici. E, stando a quanto mi hanno detto qui, e' proprio cosi' che questo stelo lascera' il posto a quello nuovo. 



In tutto cio' non mi prendo nessun merito. Tutto questo successo con le orchidee direi che va attribuito alle richieste di queste piante che rispecchiano alla perfezione le condizioni meteorologiche di Seattle: tanta luce ma niente esposizione diretta al sole. Non fa una piega!


Il 10 novembre a colazione abbiamo ascoltato a ripetizione la colonna sonora del film (500) Days of Summer. E lo scrivo solo perche' a me mette allegria e carico qui due canzoni con l'augurio di un bel weekend, divertente e sereno!
 

Saturday, May 7, 2011

Una mattina

Ancora una cosina perche' e' stato troppo carino. Giovedi' mattina alle 7 ero a casa di un'amica per guardarle la bimba, prepararla e poi portata al nido visto che sia la mamma che il papa' dovevano uscire presto. Degne di nota:

al momento di salutare la mamma la piccola scoppia in un pianto disperato che sembra interminabile e inconsolabile finche' la mamma dice "Look, Miky will give you a mentos". Miky, dispiaciuta per quelle lacrime e perplessa sul possibile effetto calmante delle mentos, ne spezza una: il tempo di metterle in bocca meta' caramella e chi piu' si ricorda che la mamma stava uscendo? Sorridente mi prende per mano e tra uno stampino e un adesivo iniziamo a fare colazione. Lei spensierata, io basita. Prendo nota.

Quando suggerisco di iniziare a prepararci per andare al nido, esclama "Miky, my day-care is closed today!"...Definitely, the terrible twos :)... Allora le dico "Really? Weird because on my way here I saw some kids going in today". E lei, carinissma, corruga la fronte, si guarda intorno nel caso qualcun altro abbia udito la sua bugia e tace.

Mentre ci prepariamo, ci pettiniamo reciprocamente i capelli... lei passandomi la spazzola sui capelli dal lato senza setole :) 

Alla scelta dei calzini mi spiega che i calzini hanno una parte puffy destinata al tallone. Nel caso io non sappia cosa sia un tallone, gentilmente solleva la sua gambina e me lo mostra con il dito della mano.

Mano nella mano andiamo al nido.

Pike Place Market

E' da un sacco di tempo che volevo scrivere questo post ma mi mancavano le foto. Due venerdi' fa mentre andavo in aeroporto con tanto di macchina fotografica al collo il mercato era di strada, mi sono intrufolata tra i turisti e mi sono sbizzarrita.
















Pike Place Market e' il mercato principale e piu' conosciuto di Seattle, un simbolo della citta' che ha compiuto cento anni nel 2007 e una meta turistica che conta 10 milioni di visitatori all'anno (a me sembrano uno sproposito ma wikipedia -senza reference!- dice proprio cosi').
Prima di scrivere il post mi sono letta un po' la storia: e' proprio carina. Pittoresco la prima volta, simpatico la seconda, questo mercato mi ha sempre dato l'impressione di essere un po' una baraonda e ci vado di tanto in tanto per comperare il pesce. Pero' come quel venerdi' non l'avevo mai visto: le bancarelle dei fiori ci sono tutto l'anno ma quel giorno era davvero una festa di colori, fondamentalmente un tripudio di tulipani!
 

Il resto del mercato e' molto simile ai mercati in Italia. A me ricorda tanto il Mercato delle Erbe a Bologna, forse perche' e' uno dei pochi mercati coperti dove sono stata. Mi piacciono molto di piu' quelli all'aperto dove le bancarelle si raccolgono in una piazzetta o attorno a poche stradine nel centro storico di una citta'.

Una delle attrazioni di Pike Place Market, per la quale il mercato a quanto pare e' stato protagonista di trasmissioni televisive, e' il mercato del pesce. Da wikipedia:
The Pike Place Fish Market is best known for their habit of hurling customers' orders across the shopping area. A typical routine will involve a customer ordering a fish, with their fishmongers in orange rubber overalls and boots calling out the order, which is loudly shouted back by all the other staff, at which point the original fishmonger will throw the customer's fish behind the counter for wrapping. Initially, the shouted repeating of the ordered fish began as a prank on one employee, but was enjoyed by customers, so it became a tradition. While working, the staff continually yell to each other and chant in unison while they throw ordered fish.


Insomma tutti strillano ma il pesce e' proprio buono e fresco.


Sempre leggendo wikipedia ho scoperto che questo porcellino e' la mascot del mercato.   

Pike Place Market's unofficial mascot, Rachel, a bronze cast piggy bank that weighs 550 pounds (250 kg), has been located since 1986 at the corner of Pike Place under the "Public Market Center" sign. Rachel was designed by local artist Georgia Gerber and modeled after a pig (also named Rachel) that lived on Whidbey Island and was the 1977 Island County prize-winner. Rachel receives roughly US$6,000–$9,000 annually in just about every type of world currency, which is collected by the Market Foundation to fund the Market's social services.





Attorno a Pike Market c'e' un piccolo parco che si affaccia sulla Puget Sound, tantissimi artisti di strada, un ristorante italiano di cui ho sentito solo pareri positivi e che prima o poi vorrei provare e infine questo Starbucks che non e' uno Starbucks qualunque ma il primo Starbucks in assoluto (o, per la precisione, questa e' la sede dove il primo Starbucks si e' trasferito qualche anno dopo l'apertura distante solo un blocco dalla sede attuale, quindi, via, gli si puo' accordare il privilegio di essere considerato il primo Sturbucks)


Dulcis in fundo... i sapori di casa... proprio qui, a un soffio dal mercato: 

c'e' l'angolo dei biscotti mulino bianco, il banco dei salumi con il prosciutto crudo San Daniele e Parma, lo speck dell'Alto Adige, la bresaola etc, il banco dei formaggi per lo piu' francesi e scaffali e scaffali di prodotti che mi riportano in Italia...  finche' l'occhio non cade sul prezzo...ma a volte ci si deve pur coccolare!!!

Oggi a Seattle si festeggia l'inaugurazione della boating season! 
Da Seattle direi e' tutto!
Buon weekend!